Oggi ricorre il settimo anniversario della mia Ordinazione episcopale nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Fu quello il primo incontro con voi e il momento solenne in cui il Signore legava la mia vita a quella di questa Comunità diocesana. Ricordo quel giorno con grande commozione ed emozione e vi ringrazio ancora della vostra festa, dei vostri volti sorridenti, della gioia che mi dimostraste nell’accogliere la mia povera e intimorita persona, scorgendo in essa la presenza dello stesso Signore che rinnovava il suo amore per questa Chiesa. A sette anni di distanza si sono spenti gli entusiasmi fatui di chi nel nuovo vescovo concentrava attese individualistiche o effimere. E’ rimasta, invece, la gioia serena di chi, accogliendo il nuovo Pastore come opportunità per lasciarsi condurre dallo Spirito verso le prospettive sempre nuove del Regno, confermava la sua volontà di comunione e l’impegno a servire la Chiesa e la sua missione nel nostro territorio. Personalmente, posso testimoniare che l’eco di quel giorno è risuonato in tanti momenti belli che ho vissuto tra voi e ancora oggi mi fa sentire il soffio dello Spirito che gonfia la vela della mia vita e mi spinge a donarla totalmente per voi.
Per la diocesi di Alife-Caiazzo, oggi è una giornata storica! Inizia il I sinodo diocesano, dopo 195 anni dall’ultima analoga esperienza celebrata nell’antica diocesi di Alife e a 82 anni da quella nell’ex diocesi di Caiazzo. Il mio pensiero va ai Vescovi miei predecessori che furono protagonisti di quegli eventi ormai lontani: Mons. Emilio Gentile e Mons. Nicola Maria Di Girolamo e a tutti coloro che mi hanno preceduto come Pastori di questa porzione del Popolo di Dio. Oggi comprendo di più le loro fatiche e li ringrazio, perché se questa Chiesa è viva è anche merito dei gesti di amore e della dedizione loro e di quanti in comunione con loro l’hanno servita.
La celebrazione del Sinodo è anche suggello di quanto il soffio dello Spirito sta operando tra noi in questi anni intensi. Costituisce altresì motivo di gioia e di santo orgoglio perché testimonia i tanti talenti che il Signore semina tra noi e, dopo periodi
difficili, il livello di normalità che, anche se con grande fatica e ostacoli, la nostra Chiesa sta recuperando per essere sempre più nel Territorio la sposa bella e accogliente di Cristo, il fermento e il lievito della nostra storia. Esso vuole essere anche l’atto di umiltà di una Chiesa che non ha sempre camminato verso Gerusalemme, sulla via del Signore, ma talora, accumulando ritardi e rughe, si è diretta ad Emmaus, nell’illusione che le scelte individualistiche, la ricerca del facile consenso, l’apparire e il camminare in ordine sparso, potessero renderla più idonea alla sua missione.
Oggi il Signore incrocia in modo particolare il nostro cammino di Chiesa per parlarci al cuore e riportarci sulla via di Gerusalemme.
Per sottolineare l’importanza di questo evento sinodale e leggerne con spirito di fede le dimensioni profonde, abbiamo voluto prendere come icona la vicenda dei Discepoli di Emmaus. Anche lì c’è una situazione di partenza problematica, una umanità ferita e delusa e, grazie alla presenza di Gesù e alla sua Parola, un finale di cuori accesi e di una umanità contagiata di calore e di passione. Il punto di svolta è costituito dall’incontro con Gesù. Ci domandiamo: qual è la questione centrale che, nel brano del Vangelo di s. Luca, appena letto, costituisce l’oggetto del confronto tra il misterioso Pellegrino da una parte e Cleopa e il suo compagno dall’altra? La discriminante tra i due modi di pensare? La motivazione profonda che spinge prima verso la tristezza e la disperazione di Emmaus e dopo verso la gioia di Gerusalemme?
A leggere bene il testo, il problema centrale è quello della Croce. E’ sull’approccio e sulla comprensione di questo evento misterioso che nella fase iniziale e finale del racconto si gioca l’agire dei due discepoli. Ma il testo, proposto come Parola di Dio alla nostra Assemblea, ci suggerisce che anche il nostro essere Chiesa si definisce in relazione alla qualità del nostro rapporto con il mistero della Croce del Signore. Infatti quando tale approccio è inautentico, la Chiesa non può essere luogo delle fioriture, Chiesa in uscita o Chiesa ospedale da campo di cui ci parlano il Concilio e Papa Francesco.
È evidente che nel brano evangelico appena letto ci sono due visioni della Croce. Per i discepoli di Emmaus essa è “inspiegabile patire”, nostalgia di un potere non raggiunto, delusione per un Dio incapace di salvarsi e per un Messia fallito che fa sfumare i progetti mondani di quanti lo seguono.
Con la grazia del Sinodo, il Signore ci invita a domandarci se è questa la visione della Croce dominante nella nostra Chiesa. Avvertendoci che, come per i discepoli di Emmaus, essa conduce alla mestizia, alla consolazione rassegnata, alla conta ossessiva di quanti abbandonano la fede, all’arrembaggio di onori, di potere e di
soldi, alla difesa dei propri privilegi, alla ricerca di visibilità mondana, di facili consensi e di compromessi con il mondo. Tale visione della Croce genera inutili commozioni davanti alle statue di Gesù morto e indifferenza verso le piaghe e i bisogni dei poveri e agli occhi di chi è in ricerca di esperienza umane alte fa apparire la Chiesa come una società di inutili organizzatori di eventi o addirittura di monatti, o struttura di retroguardia incapace di rischiare, di aprirsi al nuovo di Dio, di avere coraggio, di amare e di guardare al futuro.
Non è questa la Croce necessaria di cui parla il Pellegrino di Emmaus, quando pone la domanda: “Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella gloria?” (Lc, 24,26). Per Lui la Croce non è un fato che si abbatte sugli uomini, non è terribile vendetta divina, non è solo patire, ma appassionarsi. Per capire il rapporto tra l’appassionarsi e il soffrire, che Gesù definisce necessario nella vicenda della sua Pasqua, forse andrebbero rispolverati i testi di qualche bella canzone napoletana dove viene detto che la passione d’amore tormenta l’anima e non fa campare. La sofferenza necessaria di cui parla il Pellegrino di Emmaus è solo conseguenza del suo appassionarsi alla causa di Dio e dell’uomo, in un mondo segnato dall’idolatria del potere e dominato dai miti del denaro, del sesso, della manipolazione delle coscienze, dall’indifferenza o addirittura dal disprezzo della dignità dei poveri. Per Gesù, la Croce è appassionarsi sofferto, come quello dell’innamorato non corrisposto che vede nell’innamorata la sua opportunità di felicità e cerca ad ogni costo di conquistarla o della mamma che sta mettendo al mondo la sua creatura attesa e già amata, una “passione/appassionarsi” per amore che genera vita, resurrezione, nuovo inizio. Il senso della Croce sta tutto lì. Il Vangelo ci invita a prendere quell’appassionarsi sofferto del Crocifisso come modello e stile di vita, perché da lì e solo da lì nasce la speranza, la resurrezione e la vita.
La grazia del Sinodo ci invita a chiederci se la nostra è una Chiesa appassionata. Se sono ardenti di passione per la causa di Dio e dell’uomo i nostri sacerdoti, i nostri religiosi, le nostre Associazioni e i nostri laici credenti. Se le nostre strutture sono capaci di rinnovarsi continuamente per tenere viva la logica vincente della Pasqua nella nostra Terra. Se, a partire dalla nostra fede, siamo capaci di scelte coraggiose per far fiorire il volto della nostra Chiesa ed essere portatori di gioia, di trasparenza e di speranza e costruttori di una umanità inclusiva nel nostro territorio, dove sovente anche cristiani praticanti, spesso sono artefici diretti o consenzienti di corruzione o di poco rispettosa gestione del bene comune. Ci domanda, altresì, se abbiamo stimolato con il nostro comportamento profetico l’onestà nei cittadini e nei governanti dei nostri paesi o siamo stati complici e accomodanti, accontentandoci dello scambio di inutili ossequi formali. Un bel segno di cosa può fare l’appassionarsi nella nostra
Chiesa alla causa del Vangelo sono il Centro per la famiglia, la Mensa dei poveri e, ultimamente, la gioiosa e numerosa presenza dei giovani del catecumenato crismale lo scorso mercoledì santo in Cattedrale. Senza quell’appassionarsi di sacerdoti, di catechisti, di educatori e di operatori pastorali alla causa del Vangelo, ci dovremo accontentare di vedere sempre più comunità cristiane chiuse e spente e chiese dai capelli bianchi nelle domeniche e piene di giovani solo in occasione dei funerali di qualche coetaneo.
All’inizio del I sinodo diocesano della Chiesa di Alife-Caiazzo, invochiamo la luce e la forza dello Spirito santo, perché susciti in noi l’appassionarsi di Gesù, che ci conduce allo “spezzare il pane” non come a un rito vuoto o soltanto propiziatorio per i defunti, ma come alla opportunità e alla fortuna di tornare ogni domenica in sintonia con le sue scelte che ci rendono popolo della vita per andare ad annunciare ai fratelli la felicità di essere uomini amati e costruttori nel nostro territorio della civiltà dell’amore.
Immagino il senso di gioia e di liberazione impresso sul volto dei discepoli che, dopo aver ascoltato il Risorto ed averlo riconosciuto nello spezzare il pane, corrono verso Gerusalemme… Dopo l’ascolto della Parola, lì, in quel pane e in quel gesto hanno capito la Pasqua del Signore come stile e opportunità alta di essere uomini ed hanno ripreso ad entusiasmarsi. Lo Spirito stasera ci ha condotto qui, dove ci radunerà nei prossimi giorni, perché sul volto della nostra Chiesa scompaia la tristezza e la delusione della via di Emmaus e ricompaia l’entusiasmo di chi seguendo Gesù, diventa capace di appassionarsi per amore e di correre dai fratelli sulla via di Gerusalemme per recare gesti e annunci di gioia. In questi mesi di preparazione al Sinodo molte persone si sono impegnate con grande generosità. Le ringrazio e sono sicuro che porteranno in questa Assemblea la voglia di resurrezione e di bellezza che nasce dall’incontro con il Crocifisso risorto. Chiediamo allo Spirito la grazia di contagiarci a vicenda per continuare la bella storia della nostra Chiesa di Alife-Caiazzo. San Luca dopo il Vangelo, scrive gli Atti degli Apostoli, raccontandoci i risultati benefici della corsa dei discepoli di Emmaus verso Gerusalemme. E’ la corsa che lo Spirito chiede a noi in questo tempo perché la nostra Chiesa, appassionandosi come Gesù alla causa del Regno di Dio, riscriva nel nostro territorio nuove pagine di umanità, di speranza e di salvezza.
Affidiamo il nostro Sinodo a Maria. La sua immagine che dominerà fisicamente le nostre Assemblee sinodali, ci ricordi la sua materna protezione e l’impegno a sceglierla come modello e guida del nostro “camminare insieme”. La Madre di Gesù e madre nostra susciti e sostenga la nostra passione per il Regno, infonda in noi l’umiltà di ascoltare il Signore, di smussare i nostri angoli per rinnovare tra noi
l’esperienza della Pentecoste e costruire una vera comunione fraterna, capace di rivelare il volto di Dio al nostro Territorio, sull’esempio dei nostri santi Patroni e di quanti hanno amato e servito la nostra Chiesa.