di Grazia Biasi, direttore responsabile di Clarus
Sinodo diocesano. Siamo alle battute finali: con quale prospettiva ci avviamo alla conclusione?
Dopo la recente visita pastorale e a 82 anni dall’ultimo Sinodo c’era bisogno che la nostra Chiesa si mettesse allo specchio, cominciasse un po’ a sognare e a sognarsi avendo ben chiari i passi compiuti e il cammino da compiere.
Il sinodo è stata una scommessa e anche un successo perché per la prima volta dopo decenni ha messo insieme la Chiesa locale facendole prendere consapevolezza di ciò che è e vuole essere.
L’aspetto normativo del Sinodo intende delineare il profilo della chiesa di Alife-Caiazzo per i prossimi anni, per rispondere alla situazione profondamente mutata del nostro territorio offrendo piste e itinerari …
Quale “istantanea” rivela il Sinodo?
La grande capacità di molti laici di guardare con passione alla propria Chiesa e al contempo – come già sottolineava il segretario del Sinodo don Emilio Salvatore in occasione dell’ultima assemblea – la lentezza del presbiterio di lasciarsi coinvolgere in una esperienza di rinnovamento rispetto al passato.
Quali input per il momento ci consegna questa esperienza?
Il Sinodo ha aperto una strada, ma soprattutto avviato un metodo per essere Chiesa nel mondo di oggi. Abbiamo visto, abbiamo valutato e abbiamo progettato: dinamismi che non devono mancare alla Chiesa e le chiedono di interrompere l’abitudine del “si è fatto sempre così…” che rischia di affossare ogni nuova energia e far morire ogni novità, ogni nuovo entusiasmo…così come dimostra la nostra difficoltà ad affrontare il mondo giovanile, da tutti lamentata e guardata con atteggiamento giudicante piuttosto che interrogante.
Esso rappresenta anche un appello al presbiterio ad essere all’altezza di questa realtà territoriale con il suo carico di contraddizioni e una provocazione a reagire meglio e in squadra alla sfida dell’evangelizzazione. Ho colto nella categoria dei sacerdoti più giovani una naturale sensibilità e un più facile esercizio alle dinamiche del nostro Sinodo: un bel segno di coraggio e di buona volontà.
Più volte e in più occasioni si è parlato di esperienza sinodale, di cammino condiviso “oltre” il tempo celebrativo che si va concludendo. Il Sinodo, prima di tutto, uno stile…
Di fatto il Sinodo non finisce qui.
Il Sinodo è una dimensione del nostro vivere la Chiesa, un atteggiamento interiore che si sceglie di condividere, è un clima che bisogna generare e far maturare nelle nostre parrocchie ancora molto clericali in cui i luoghi comuni vogliono un prete factotum e gente in attesa di servizi. È il tempo, questo, in cui far prevalere la logica della comunità di cui il parroco non è il padrone ma il servitore e la comunità protagonista.
L’evento diocesano è stato accompagnato dall’icona biblica di Emmaus. A che punto è l’esperienza di Cristo in cammino con la nostra storia? È una consapevolezza autentica, matura, quella dei credenti di Alife-Caiazzo?
Siamo ancora all’inizio di questa maturità di fede. Dobbiamo compiere un salto nell’esperienza di ascolto della Parola ancora troppo assente dalle nostre comunità. Così come è ancora fragile la consapevolezza che l’eucarestia è modello di vita e non soltanto un rito rassicurante e suffragante per i defunti…
Il Cammino di Emmaus è un modello di Chiesa che il Sinodo ha proposto individuando quali passaggi obbligati il dialogo, la parola, l’annuncio, la testimonianza, la comunione.
Siamo ancora troppo coinvolti nel “prima esperienza” di Emmaus, quella della delusione, del ripiegamento su noi stessi. Quale lettura offre il Pastore a questa immagine della realtà?
Delusioni troppo cocenti rallentano la vita del territorio segnato da immobilismo e corruzione: il rilancio economico e sociale mai avviato ma sempre promesso da una politica che ha tradito il bene comune, ha creato disaffezione tra le persone e questa Terra. Le ininterrotte migrazioni di brillanti giovani verso città d’Italia o del mondo rivelano quanto si è lontani ormai dalle risposte che studenti, disoccupati e giovani famiglie cercano… Ad una simile condizione di disagio sociale si associano tante scure sfaccettature che prendono il nome di povertà, droga, alcol, critiche feroci e chiacchiericcio comune che fanno da zavorra ai sogni di pochi eroi.
Un pensiero particolare va ai dirigenti scolastici, ai professori, agli insegnanti, ai quali spetta l’impresa di educare stando al passo con i tempi, investendo ogni giorno il proprio tempo e le poche risorse a disposizione per formare al meglio i loro studenti, cittadini di oggi e del domani.
Tali letture obbligano il Sinodo ad essere fuori dalla Chiesa, ad essere dimensione profetica fuori dalle sacrestie…
Riscoprire la nostra funzione educatrice del territorio: obiettivo alto e bello cui ci chiama il Vangelo invitandoci a vivere secondo la logica del “noi”. È questo mettere la parola di Dio al centro che consente alla Comunità dei credenti di dimostrare con l’esempio cosa può diventare una società civile: un luogo dove si dialoga, si pensa al bene comune, dove gli obiettivi privati vengono perseguiti in subordine rispetto al bene comune…
Essere di riferimento di fronte alle sofferenze e al disorientamento sono le scelte che la Comunità deve compiere e sentire proprie altrimenti la sua presenza rispetto al territorio rischia di non avere alcun peso, alcun valore aggiunto.
Tra alcune settimane ci sarà la consegna del Libro del Sinodo. Cosa porteranno a casa i membri sinodali?
La grazia di aver celebrato questo evento, unito ad una forte presa di coscienza delle responsabilità che spettano ad ognuno. Il lavoro sarà nei Consigli pastorali, nei Consigli affari economici, nelle Caritas, in ambito liturgico e formativo…con la consapevolezza che la Chiesa è camminare insieme, o Chiesa non è.
Quale messaggio di speranza alla futura chiesa di Alife-Caiazzo?
Il mio appello è quello a camminare insieme e operare conversioni pastorali, come sovente ci invita a fare Papa Francesco: chi ha vissuto il Sinodo, il gran numero di laici presenti, ha ben chiaro tutto questo.
La nostra semina oggi sono i tanti giovani che nelle parrocchie – attraverso il catecumenato crismale o i gruppi parrocchiali – animano con entusiasmo e lealtà le comunità, vivono rapporti di fiducia reciproca, sanno interrogarsi e ci interrogano sulla fede, sulla vita.