Sacerdoti e Vescovi della Campania sulla tomba di San Vincenzo Romano

A Torre del Greco in occasione della Giornata di Santificazione del Clero. Invito alla preghiera, all'unità presbiterale, e testimoniare la speranza: così il cardinale Crescenzio Sepe

Giornata di spiritualità per i sacerdoti della Campania, sul modello del confratello Vincenzo Romano che la Chiesa ha voluto Santo lo scorso 14 ottobre.
La Basilica di Santa Croce, in Torre del Greco, città di nascita e dell’azione pastorale e sociale del prete nato nel 1751, ha accolto i sacerdoti, che con i Vescovi delle rispettive Diocesi e il Cardinale Crescenzio Sepe hanno scelto di vivere sul modello del prete campano la Giornata di santificazione del Clero, che di fatto ricorre oggi, solennità del Sacro Cuore di Gesù.

Anche una rappresentanza del Clero di Alife-Caiazzo ha preso parte alla Giornata, condividendo con gli altri presenti la preghiera del mattino, la riflessione curata dal vescovo di Acerra Mons. Antonio Di Donna sulla figura di San Vincenzo.
Con i nostri preti, il Vescovo Mons. Orazio Francesco Piazza amministratore apostolico, che con loro e i sacerdoti della Diocesi di Sessa affidata alla sua guida nel 2013, ha poi condiviso il pranzo al termine del programma.

Essere presbiteri oggi, non domani…
L’urgenza della testimonianza, nelle parole del Cardinale Sepe

“La nostra identità, il nostro comune ministero, sono veri e autentici nella misura in cui rimangono collegati al Maestro che un giorno a ha intercettato il nostro sguardo chiamandoci come i discepoli lungo il mare di Galilea a seguirlo, lasciando tutto per diventare pescatori di uomini”.
È partito da una scena sempre cara alla vita di ciascun sacerdote, il Cardinale Sepe nella sua omelia: ricordare una chiamata e soprattutto la voce cara e calda di Colui è l’occasione per tornare alle motivazioni, all’entusiasmo, alla fiducia che ha determinato il primo “sì”.

Scena che rimanda inevitabilmente all’esperienza di dopo, ad un servizio che trova la sua dimensione più vera nella celebrazione dei misteri e nella missionarietà, cioè ad vita quotidiana legata e connessa alle esigenze di oggi, alle energie da investire in questo tempo.
“Abbiamo accolto il Suo invito, lo abbiamo seguito, e nel compimento di questa nostra missione noi viviamo con generosità questa chiamata, pur tenendo conto delle tante criticità che ci interrogano dovute anche alle mutate condizioni culturali e sociali, con la perdita dei valori evangelici che relegano la figura del sacerdote, ma in genere l’immagine della Chiesa, ai bordi”. Chiara lettura da parte del Cardinale delle interpretazioni che oggi mortificano il valore e la santità di quella chiamata, vista spesso come mera funzione di servizi liturgici o sociali o appensantita dalle delusioni o la fatica che l’esercizio del ministero, chiamato a confrontarsi con il mondo, reca con sé. Da qui la domanda che interpella, “oggi e non domani” i nostri sacerdoti: “Di fronte a questa realtà che viviamo, perché chiamati ad essere presbiteri oggi, non ieri o domani, in questo territorio, in questa regione, in questa diocesi dove troviamo l’energia e la grinta per affrontare queste nuove e vecchie sfide del mondo?”.
Stare con il Maestro, la risposta del Pastore alla guida della Chiesa campana.
Relazione di “profonda intimità”; riconoscerci discepoli che quotidianamente imparano da Lui, prima di insegnare, è questo l’impegno rivolto a ciascuno dei presenti.

“Da dove attingeva energia per fare dell’incontro con l’umanità un momento di dono e di grazia?” Le parole del Cardinale oltre che indicato la strada e il modo di stare (ossia l’incontro con l’umanità) hanno paternamente invitato alla sosta quotidiana nella preghiera da cui Gesù stesso ha attinto le sue immutate motivazioni.
“Da dove ha attinto il coraggio per bere il calice della sofferenza fino a farsi vittima e sacerdote sull’altare della croce? Lo sappiamo, lo abbiamo meditato tante volte: Gesù era legato totalmemte, inseparabilmente al Padre, attraverso la forza dello Spirito Santo, cioè dalla preghiera prolungata che destava la curiosità degli Apostoli…”, curiosità forte da suscitare nei Dodici la bella reazione della testimonianza fino al martirio.

“L’insegnamento per noi è chiaro: la tenuta umana, spirituale e pastorale di un presbitero, dipende assolutamente dalla sua vita di preghiera” da cui scaturisce la qualità della sua vita, declinata nella carità, nell’ascolto, nelle relazioni, nel dialogo con quanti ne sono destinatari, perché affidati, come gregge, ai pastori di ogni piccola o grande comunità.
“Dobbiamo convincerci che l’agire non può essere separato dal nostro essere, l’apostolato non è separato dalla preghiera, l’andare ogni giorno, uscire, non si può dividere dal restare con Cristo. Essere per gli altri è una conseguenza dell’essere in Dio per Dio con i fratelli”.

Vicinanza tra il Sacerdote e Cristo che il Cardinale ha poi mostrato nella figura di San Vincenzo Romano, prete che ha raccontato e testimoniato il Vangelo senza timori, apertamente, trovando con originalità e intelligenza il modo per parlare di Dio, agendo a vantaggio degli ultimi, per il bene della sua terra, “sentinella, torcia che si è consumata per Cristo…”, così come descritto dai suoi contemporanei.

“E allora cari presbiteri della Campania, questa nostra terra felice di eroi e di santi come Vincenzo, non abbiate paura di essere santi!”. L’appello dell’Arcivescovo ad essere costantemente nella preghiera si è tradotto in due impegni, due consegne da vivere, affidati ai sacerdoti presenti anche a nome dei Vescovi campani: invito all’unità presbiterale e ad essere “segno di sicura speranza per le nostre popolazioni”.

Fonte www.clarusonline.it

Foto Pagina Facebook Basilica Pontificia di Santa Croce – T/Greco