Cattedrale gremita per la consacrazione dell’Altare e per il Giubileo sacerdotale del Vescovo Valentino Di Cerbo.
Non solo evento celebrativo, ma ancora una volta occasione “di famiglia” in cui la Chiesa di Alife-Caiazzo si è ritrovata per vivere una nuova esperienza di comunione e la risposta è stata proprio nella presenza dei fedeli delle parrocchie della Diocesi, dei Sindaci, delle Autorità militari, dei Dirigenti scolastici.
Momento di forte risposta alla prima e ultima sollecitazione venuta dal Sinodo diocesano nella sua fase preparatoria e celebrativa: una Chiesa sinodale è quella che vive l’esperienza del cammino comune oltre il Sinodo stesso, nell’essere Chiesa tutti i giorni, dentro e fuori le chiese, nell’esigenza comune di ritrovarsi insieme intorno alla mensa.
E questa volta la mensa – non solo immagine fisica di un altare – ha assunto i tratti della stabilità, della necessaria fissità di principi e scelte evangeliche.
Lo ha sottolineato Mons. Di Cerbo durante l’omelia: “Come ci ricorda anche il Rito della consacrazione, costruire un altare, nell’antico testamento, significa piantare una pietra dedicandola a Dio perché sia memoriale di alleanza, suo riferimento sulla terra e testimonianza dell’affidamento dell’uomo alla sua volontà. Nelle logica neotestamentaria, l’altare rappresenta soprattutto Cristo, pietra angolare dell’edificio spirituale della Chiesa, fonte imprescindibile della unità della Comunità cristiana, mensa dei fratelli, su cui viene celebrato quel Mistero grande, il Sacrificio eucaristico che, oltre che atto di culto per eccellenza, rappresenta quello che il cristiano e la Chiesa vogliono essere: un dono appassionato che fa crescere in umanità il mondo” (scarica il testo integrale dell’OMELIA).
Risposta alla “fluttualità” che per circa 50 anni frenato lo slancio della Chiesa locale che nelle azioni coraggiose e lungimiranti di preti, vescovi e laici maturava le scelte e le ragioni del Concilio Vaticano II. Il Vescovo ha richiamato pertanto il recente recupero di alcune chiese danneggiate dal sisma del 2013 e quello dell’edificio dell’episcopio, in piedi ma senza fondamenta per dire la necessità di essere Chiesa stabile traducendo le immagini e la cronaca in esperienza di vita: “Consacrando il nuovo altare di pietra della Cattedrale, chiediamo al Signore di aiutarci a superare una certa diffusa mentalità sismico-ecclesiale senza norme e obiettivi chiari, per troppo tempo vigente tra noi, per costruire sempre più la nostra Chiesa, come un edificio solido, fondato sulla pietra angolare che è Cristo e in piena e leale sintonia con la Chiesa universale, il suo Magistero e le sue regole”.
Forte il richiamo di Mons. Di Cerbo al suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, avvenuto lo scorso 30 marzo di venerdì santo: il Pastore ha scelto di celebrare la ricorrenza attendendo l’altare della Cattedrale perché la festa fosse un richiamo non alla sua persona ma alla centralità e al senso vero di ogni sacerdozio, Cristo, pietra angolare. Nel commento alle letture della festa di San Giovanni Battista Mons. Di Cerbo ha continuamente legato la sua vita, dalla nascita alla vocazione, al sacerdozio, al ministero episcopale non senza chiedersi e interrogare provocatoriamente se stesso e i suoi fedeli: “Guardando alla mia esistenza, spesso mi domando come ho corrisposto, come corrispondo al dono del Sacerdozio…. Stasera sono qui non solo per ringraziare con voi il Signore, ma anche per chiedervi di perdonarmi e di aiutarmi a chiedere perdono per tutte le mie infedeltà”.
Suggestivo il momento della dedicazione dell’altare: le litanie dei Santi, la preghiera, l’unzione della mensa, l’incensazione e l’illuminazione e in ultimo la collocazione in esso della pergamena in cui è stato annotato l’evento, firmata dal Vescovo, dal vicario generale Mons. Alfonso Caso e dal sindaco di Alife Maria Luisa Di Tommaso: non ritualità ma preghiera, partecipazione, condivisione, storia presente e futura.
Fonte www.clarusonline.it