San Sisto I, papa e martire, patrono della città di Alife e della Diocesi
Secondo il Liber Pontificalis, Xystus era romano, figlio di Pastore, proveniente dalla Via Lata, VII regione dell’Urbe, che all’epoca della sua nascita – I sec. d. C. – era una città cosmopolita, con un milione di abitanti, di ogni razza e religione, centro dell’Impero, governato da M. Ulpio Traiano ed esteso in Oriente e in Occidente, nel quale i cristiani muovevano timidamente i primi passi.
Secondo gli atti di S. Alessandro, mentre Sisto, quale vescovo itinerante, presumibilmente vicario del vescovo di Roma Alessandro, era in cammino apostolico verso l’Oriente, sopraggiunta la notizia della morte del Pontefice, fu atteso in preghiera nella casa della nobile Severina e, al suo arrivo, eletto vescovo di Roma: fu il settimo, dopo Pietro, Lino, Cleto, Clemente, Evaristo, Alessandro. Suo, sembra il nome inserito nel Canone romano. Resse la chiesa presumibilmente dal 115, per 10 anni, 3 mesi e 2 giorni, preoccupandosi di dare dignità e decoro alla celebrazione eucaristica.
Secondo diversi testi medievali, ordinò che al canto del Sanctus, si unissero clero e popolo, che i vasi sacri fossero toccati solo dai sacerdoti e che fossero di lino il purificatoio e il corporale per la Mensa. Inviò missionari nelle Gallie, tra cui anche S. Pellegrino, e dispose che coloro che venivano in visita al Papa, non tornassero nelle loro chiese locali senza le lettere di comunione con il successore di Pietro e quindi con la Chiesa universale.
Secondo il Martirologio di Usuardo il giorno 6 aprile fu il dies natalis, giorno della nascita al cielo, del Beato Sisto, coronato del martirio, probabilmente decapitato come si addiceva ai cittadini romani, al tempo dell’imperatore Adriano.
Era l’anno 125. Venne seppellito sulla via Aurelia.
Secondo la tradizione alifana, autore della traslazione delle sue reliquie da Roma in città, fu Rainulfo di Alife.
Questi, figlio del Conte Roberto e di Caiatelgrima, nel 1119 era Conte di Alife, Caiazzo, Airola, Aversa, Avellino, Morcone, Sant’Agata dei Goti e Telese, signore di Siponto e Monte S. Angelo, senza contare il possesso di numerose altre terre in Campania e in Abruzzo. Aveva in moglie la sorella di Ruggiero, conte di Sicilia, la principessa Matilde di Hauteville, da cui ebbe un figlio, Roberto.
Il conte, per le ambizioni del cognato, si trovò ben presto coinvolto in una lunga serie di conflitti nel complicato groviglio della situazione politica meridionale del XII secolo. In seguito allo scisma creatosi a Roma nel 1130 con l’elezione di Innocenzo II da una parte, e Pietro figlio di Pierleone de’ Frangipani col nome di Anacleto II, dall’altra, Rainulfo fu mandato dal re ad accompagnare l’antipapa a Roma, mentre gli sottraeva la contea di Avellino e metteva in atto il rapimento della contessa Matilde e del figlio, ai fini di una ritorsione.
Trovandosi a Roma, il conte chiese le reliquie di un Santo da collocare nella cripta della Cattedrale che egli voleva edificare quale perla preziosa della città di Alife, da lui considerata futura capitale del proprio feudo, come attestano i resti del castello e dell’edilizia religiosa. Secondo la descrizione del frammento della Istoria di Allifo, attribuita ad Alessandro, abate di Telese, Rainulfo ottenne dall’antipapa Anacleto le reliquie di San Sisto I, e le trasportò nella sua città di Alife. I cittadini di Alatri, che attingono alla medesima fonte, sostengono che parte delle Reliquie si siano fermate nella loro città. Dopo l’arrivo in Alife, avvenuto presumibilmente nell’inverno del 1131 (o ’32), esse furono dapprima collocate nella Cappella extra moenia e poi solennemente poste nella cripta della Cattedrale, ove restarono sino all’8 aprile 1716, quando il vescovo Mons. Angelo Maria Porfirio (1703-1730), scesovi nottetempo, dopo aver fatto scavare a lungo, le ritrovò sotto l’altare principale. Il 6 agosto 1716 nella sacrestia della Cattedrale, ne fu fatta la ricognizione anatomica da Domenico Boccaletti, come racconta lo storico Niccolò Giorgio, testimone oculare dell’evento, e l’11 agosto furono solennemente portate in processione.
Da allora egli è segno di speranza per il popolo, che a lui si rivolge con il canto:
Jé Santo Sisto nostro
protettori jé bello
ca rient’a sta città
jé cii sei cjioello.
Appriesso a Dio tu sei
i no gran signore
jé santo Sisto
nostro protettore.
E sempre sia lodato,
San Sisto a Dio fedel
nostro avvocato.
Sull’epigrafe posta sul pavimento marmoreo, all’ingresso della cappella dedicata al Santo nella Cattedrale, troviamo incisa l’invocazione corale della città di Alife: “Siamo tua gente, o Sisto, guardaci con occhio benevolo, sii tu luce, vita e salvezza del nostro popolo”.
Santo Stefano Menecillo, patrono della città di Caiazzo e compatrono della Diocesi di Alife-Caiazzo
Stefano Menecillo nacque da Giovanni e Giuseberta, nel 935, nella regione dei Lagni, oggi Comune di Macerata Campania, nelle vicinanze di S. Maria Capua Vetere, sotto il papato di Giovanni XI, mentre Landolfo era principe di Capua e di Benevento. A sette anni, nel 942, entrò nella Badia di S. Salvatore Maggiore, fatta edificare dalla contessa Adalgrima. Nel 965 circa, poco tempo dopo l’ordinazione sacerdotale, alla morte dell’abate Pietro, fu eletto a sostituirlo, mentre era vescovo di Capua Giovanni, figlio di Landolfo II e fratello di Pandolfo detto Testa di ferro, il quale ottenne dal papa Giovanni XIII l’elevazione della Chiesa di Capua a sede metropolitana. Nel 979, restata vacante la diocesi di Caiazzo, per la morte del vescovo Orso, popolo e clero acclamarono Stefano loro Pastore.
Fu consacrato il 1 novembre 979 dall’arcivescovo di Capua Gerberto, O.S.B. (978-980), assistito da Alderico, vescovo di Calatia, e Leone, vescovo di Sora. A 44 anni egli doveva portare il peso della Diocesi, in cui apparivano evidenti problemi: dalla apatia e rilassatezza del clero alla affermazione della libertà di azione della Chiesa da ogni forma di condizionamento da parte del potere politico, come dimostra la vicenda della difesa dei beni dalla Chiesa di Caiazzo contro il conte Landone, figlio di Sighenolfo, e il conte Adenolfo, i quali, in quanto nipoti di Pandolfo, che li aveva donati ai predecessori di Stefano, ne pretendevano la restituzione.
Durante il sinodo di Capua del 1012, Stefano, aiutato dalla voce del diacono Giovanni, denunciò tutti i soprusi dei signorotti, dimostrandosi uomo libero da ogni compromesso.
La forza per la sua incisiva azione pastorale, accompagnata da segni e prodigi, nasceva dalla preghiera costante di cui testimonia l’enorme ulivo, posto al di sotto della collina di S. Giovanni, nella zona detta in seguito Olivetum Sancti Stephani, all’ombra del quale si raccoglieva in orazione. Dopo una vita così intensa e 44 anni di episcopato, Stefano moriva all’età di 88 anni, il 29 ottobre 1023. Fu sepolto all’interno della Cattedrale e quando essa fu consacrata, il 22 luglio 1284, fu dedicata alla Vergine Assunta e all’antico Vescovo, che già in quella data, e forse anche prima (intorno al 1195), era considerato Santo.
Il Vescovo Vincio Maffa, salernitano, nel 1512, si mise a cercarne il corpo, che dopo molti tentativi ritrovò il 23 maggio di quello stesso anno. Le reliquie del Santo trovarono definitiva collocazione solo il 7 febbraio 1752, quando il vescovo Costantino Vigilante le collocò in un’apposita cappella.